Su "Il Fatto Quotidiano" si trova un interessante documento relativo alla gestione di ENEL delle centrali a carbone. Mi chiedo come sia possibile che una società privata (ENEL è una S.P.A.) possa dettare legge a ministri e rappresentanti pubblici in tema di gestione del settore energia, in Italia. Infatti, manca un vero e proprio piano energetico nazionale, redatto senza interesse delle varie lobbies, ma che tenga conto di sviluppo eco-sostenibile e, soprattutto, di vera valorizzazione delle risorse naturali italiane: sole e vento! Carbone, petrolio e gas lo dobbiamo importare a costi altissimi, per elevati rendimenti economici di pochi attori, che poi riescono ad insinuare nella coscienza popolare, il fatto che le energie rinnovabili siano determinanti per gli incrementi recenti delle tariffe in bolletta. Con la complicità di un certo tipo di stampa, che vive grazie alla pubblicità sui propri giornali, proprio di questi attori che influenzano negativamente l'opinione pubblica. Però la verità è un'altra: le energie da fonti rinnovabili rappresentano il futuro ambientale, economico e di reale sviluppo del nostro Paese; se chi ci governa capisce questo ( e lo sanno già!), ma soprattutto se si capisse che le strade della ricerca e dello sviluppo in questo settore porteranno benefici per tutti, si riuscirà a trovare una delle strade che porteranno all'uscita della crisi attuale; non certo l'unica via, ma sicuramente uno dei percorsi da intraprendere per poter far ripartire la macchina industriale e produttiva italiana. Non è solo una questione di incentivi o meno; sicuramente c'è stata speculazione su un sistema incentivante nato male (guarda caso, però, ne hanno largamente approfittato proprio multinazionali come ENEL o similari); però, ora che ENEL stessa si è accorta che i propri profitti calano perché anche i piccoli produttori (perfino i piccoli privati su propria abitazione)possono accedere ad energia a costo quasi zero,vi è una forte spinta al taglio delle incentivazioni, per limitare i collegamenti in rete di tali impianti di auto-produzione. Non a caso, inoltre, ora l'energia costa di più la sera, proprio perché durante il giorno le energie rinnovabili contribuiscono a generare il fabbisogno nazionale, riducendo i consumi di altre materie prime. Come al solito, prevalgono gli interessi di pochi attori economici, rispetto al bene collettivo. Il tutto mascherato da oneri in bolletta cammuffati e attribuiti alle fonti rinnovabili; però aumentano petrolio, gas e carbone. Perchè di questo non si parla nell'incidenza dei costi in bolletta? Nuove strategie e pianificazioni energetiche devono essere attuate; ma chi deciderà su ciò, dovrebbe avere a cuore l'interesse generale, con una visione in prospettiva di crescita del sistema energetico italiano, valorizzando le risorse naturali a costo zero che abbiamo; ora non è così, poiché chi dirige il tutto, a vari livelli, ha interessi diretti o indiretti con i principali gestori privati e, quindi, se vuole conservare il posto che occupa, deve soggiacere ai diktat di questi attori del settore energetico. A scapito del bene collettivo e per il bene di pochi. Nulla di nuovo sotto il sole italiano!
Dal Fatto Quotidiano:
Un morto al giorno, 366
l’anno per la precisione. Sono quelli riconducibili all’inquinamento prodotto
dalle centrali a carbone dell’Enel secondo la proiezione della Fondazione Somo
per Greenpeace Italia. Applicando i parametri dell’Agenzia Europea per l’Ambiente
alle emissioni in atmosfera delle centrali della compagnia ex pubblica emerge
che “le morti premature associabili alla produzione di energia da fonti fossili
di Enel per l’anno 2009 in Italia sono 460. I danni associati a queste stesse
emissioni sono stimabili come prossimi ai 2,4 miliardi di euro. La produzione
termoelettrica da carbone costituisce una percentuale preponderante di questi
totali: a essa sono ascrivibili 366 morti premature (75%), per quell’anno, e
danni per oltre 1,7 miliardi di euro (80%)”. Un responso implacabile che la
Fondazione ha trasmesso all’Enel ricevendo, purtroppo, risposte molto elusive.
“Lo sviluppo delle fonti
di energia rinnovabili unito alla perdurante stagnazione della domanda di
energia elettrica sta rendendo difficile la copertura dei costi di produzione
degli impianti convenzionali, mettendo a rischio la possibilità di tali
impianti di rimanere in esercizio”. L’ha dichiarato un mese fa Paolo
Colombo, presidente dell’Enel, seguito a ruota
dall’amministratore delegato Fulvio
Conti, che ha chiesto di “correggere le forme di
incentivi per le fonti rinnovabili” calibrando meglio i sussidi nel prossimo
decreto allo studio del governo nazionale, per “dare impulso ad altre filiere”.
Il mondo sta cambiando, la produzione di energia è sempre più
diffusa e decentrata, ma l’Enel non vuole mollare: il suo vecchio mondo, quello
delle grandi centrali a gas, carbone, uranio, olio combustibile deve essere
preservato. “Enel è entrata a gamba tesa sul tema dell’incentivazione alle rinnovabili
– ha dichiarato a Repubblica.it il senatore del PD Francesco
Ferrante – . Le
cose sono due: o si tratta di disinformazione o di una sorta di confessione di
chi guarda al passato e ha paura del futuro”.
Per Greenpeace Italia non ci sono dubbi:
Enel ha paura delle rinnovabili perché è ancorata al passato o si affida a
tecnologie di dubbia efficacia. “Se si eccettua l’idroelettrico, che in Italia
è semplicemente un’eredità di investimenti passati e in altre regioni, come in
America Latina, è collegato a progetti potenzialmente ad alto impatto
ambientale, gli investimenti di Enel nelle rinnovabili sono minimi,
specialmente in Italia ed Europa, dove la riduzione delle emissioni di Co2 è
affidata al nucleare o a improbabili tecnologie come la cattura e sequestro del
carbonio (Carbon Capture Storage o CCS)”, ha dichiarato Giuseppe
Onufrio, direttore di Greenpeace Italia.
Nel suo rapporto, che
ilfattoquotidiano.it ha ottenuto in anteprima, Greenpeace non si limita a
puntare il dito, come ha già fatto più volte in passato, sul mix energetico
“anacronistico” di Enel, ma analizza per la prima volta i costi esterni delle
centrali Enel a carbone e petrolio. “Si tratta dei costi per l’ambiente,
l’agricoltura e la salute dei cittadini. Sono voci di costo che non compaiono
nei bilanci, perché la società non li paga. A pagare è però l’ecosistema nel
suo complesso”.
Greenpeace fa riferimento a un rapporto
della fondazione olandese SOMO, che uscirà nei prossimi mesi, e allo studio
della EEA (European Environmental Agency), l’agenzia per l’ambiente
dell’Unione Europea, uscito nel novembre del 2011. Lo studio
dell’EEA individua i 20 impianti di produzione di energia più inquinanti in
Europa. In Italia il primato spetta alla centrale a carbone Federico
II di Brindisi, gestita dall’Enel, i cui costi esterni
(calcolati dall’EEA) ammontavano a 707 milioni di euro nel 2009: una cifra che
supera i profitti che Enel ottiene dalla centrale. “E’ un gioco pericoloso, che
non vale la candela”, continua Onufrio. “I profitti sono ottenuti con un prezzo
altissimo per l’ambiente e la salute”. Greenpeace Italia ha esteso la
metodologia utilizzata dallo studio dell’EEA a tutte le centrali a carbone
gestite da Enel in Italia ed è arrivata a conclusioni preoccupanti: “I costi
esterni delle centrali a carbone sono di 1,7 miliardi di euro – oltre il 40%
dell’utile che Enel ha ottenuto a livello consolidato, in tutto il mondo, nel
2011”, si legge nel rapporto. “Se alle attuali centrali si dovessero aggiungere
quelle di Porto Tolle e Rossano Calabro – che potrebbero presto essere
convertite da olio a carbone – i costi esterni potrebbero toccare la quota di
2,5 miliardi di euro all’anno, suddivisi in costi per la salute, danni alle
colture agricole, costi da inquinamento dell’aria e da emissioni di Co2”.
Al termine del rapporto, Greenpeace
chiede ad Enel di effettuare al più presto una valutazione dei costi esterni
delle centrali a combustibili fossili, riportando i risultati all’interno del
bilancio di sostenibilità. Tra i quesiti rivolti ad Enel non mancano i
riferimenti al progetto per la centrale a carbone di Galati, in Romania, “in
un’area già colpita da decenni di inquinamento dell’industria pesante rumena” e
alla centrale Reftinskaya GRES, nella regione di Ekaterinburg, in Russia, che
sarebbe stata accusata di “violazioni di norme ambientali” da parte delle
autorità locali. Altre domande riguardano i reattori nucleari Cernavoda 3 e 4,
che Enel gestisce in Slovacchia e il progetto Baltic NPP a Kaliningrad, in
Russia, per la costruzione di un nuovo reattore nucleare.
Alcune delle domande di Greenpeace sono
state inoltrate alla società dalla Fondazione Culturale Responsabilità Etica
(Banca Etica) azionista “critico” di Enel dal 2007. Enel sarà tenuta a
rispondere entro il giorno dell’assemblea, prevista per lunedì 30 aprile. Tra
gli azionisti saranno presenti, oltre alla Fondazione di Banca Etica, anche il
vescovo guatemalteco Alvaro Ramazzini – delegato dai Missionari Oblati – e
l’attivista colombiano Miller Armin Dussan Calderon,
professore dell’Università Surcolombiana e presidente di Assoquimbo,
associazione dei comitati locali colombiani che presidiano il territorio contro
la costruzione della diga Enel di Quimbo in Colombia. Ramazzini e Calderon
porteranno in assemblea la voce delle popolazioni del sud del mondo impattate
dai progetti idroelettrici della compagnia italiana. L’assemblea potrà essere
seguita online sul sito del Fatto Quotidiano e su Twitter (#nonconimieisoldi e
#azionisticritici).
di
Marco Atella e Andrea Di Stefano
ARTHOUR PIGOU nel 1920 scrisse un libro sull'economy of welfare in cui prevedeva una tassa per eliminare o riassorbire i costi esterni. libro bellamente dimenticato, ora serve solo modificare l'economia e revisionarla in modo che le sue teorie vengano accolte, sempre che siamo in tempo, perchè i danni alla salute non sono rimborsabili, nè il PIL perso per quei danni.
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