Domenica siamo chiamati ad andare a votare, checché ne dica
il Presidente del Consiglio Renzi, per un referendum che ha scarso appeal sulla
popolazione, in quanto molto tecnico. Vorrei qui evidenziare che, a mio modesto
parere, delegare i cittadini su un tema così complesso è davvero pericoloso; lo
è perché molte persone non hanno le conoscenze tecniche e le informazioni
necessarie a dare una corretta valutazione della situazione e, di conseguenza,
non sono realmente in grado di valutare la risposta da dare al quesito posto.
Il referendum, per istituto, serve a rimettere in mano ai cittadini una
decisione che la politica non è stata in grado di prendere con i canali
tradizionali. Per questo, ritengo gravissimo che un Presidente del Consiglio
dei Ministri si arroghi il diritto di esortare a non andare a votare.
Pericolosissimo! Già abbiamo percentuali di astensione elevatissime e quindi
esortare al non voto, seppure per una tornata non elettorale, risulta comunque
un bruttissimo segnale politico.
Ciò detto, vorrei qui riassumere brevemente, anche grazie
alle mie conoscenze nel settore energetico , alcuni punti importanti per
spiegare i motivi per i quali ho scelto di andare a votare per il SI.
Innanzitutto, facciamo un po’ di chiarezza: il referendum non bloccherà alcuna
attività estrattiva, almeno non nell’immediato, sia che vinca il sì o il no o, peggio,
cosa che temo di più, vinca
l’astensionismo. Il 18 aprile e pure gli anni a seguire, le attività in essere
continueranno a lavorare. Cosa cambia dunque? Il quesito è molto tecnico e
chiede di abrogare una parte di un articolo di legge che, se mantenuto in
vigore, permetterebbe alle compagnie estrattive di chiedere, vita natural
durante del giacimento, la possibilità di procedere con le attività estrattive.
Perché quindi votare SI e abrogare tale possibilità? Le ragioni sono diverse!
La prima motivazione riguarda gli aspetti di convenienza nel
concedere una licenza estrattiva “vita natural durante”; è veramente
incredibile e impensabile che lo Stato italiano, quindi parliamo di beni
comuni, assegni una concessione estrattiva a tempo indeterminato ad una
compagnia privata; non vi sono precedenti in merito di concessioni, che invece
devono avere una chiara e definita scadenza temporale. Un esempio pratico, per
rendere l’idea: se voi poneste in affitto un’abitazione, nel contratto di
affitto inserite la scadenza temporale, tipo 4 anni + altri 4, ma non
pensereste mai di scrivere:”…per la durata della vita dell’affittuario”! Questo
per una forma di autotutela, perché se cose non funzionano, il contratto può
non essere rinnovato. Invece, con lo stato attuale, la concessione
all’estrazione può diventare perpetua! E qui si aggancia la seconda motivazione
che propongo. Se il tempo non ha limiti, le compagnie hanno tutto l’interesse a
tenere bassa la produzione di petrolio e gas, perché sotto certi limiti non
pagano le famose royalties allo Stato. Infatti, potendo diluire in un tempo
illimitato lo sfruttamento della concessione, possono permettersi di estrarre
petrolio o gas in misura bassa, evitando così tali prelievi statali. Invece,
con la vittoria del SI, le concessioni scadrebbero in un tempo definito, le
compagnie sarebbero costrette ad estrarre i prodotti in tempi più brevi,
alzando le produzioni e facendo così incamerare allo Stato introiti da
utilizzare per i beni comuni. Il terzo motivo per cui vale la pena di votare
SI, riguarda l’occupazione. Non è assolutamente vero che si perderanno posti di
lavoro, poiché in caso di vittoria del SI, le compagnie estrattive potranno
continuare a lavorare per molti anni, poiché le concessioni scadranno tra il
2017 e il 2027; quindi ci sarebbe tutto il tempo per progettare una conversione
industriale delle maestranze coinvolte. Pensando al lavoro, proviamo ad
analizzare anche cosa potrebbe succedere in caso di incidente su una delle
piattaforme! Sversamenti di gas o petrolio nei nostri mari, determinerebbero un
disastro per l’industria del turismo, che rappresenta un capitolo occupazionale
molto più rilevante dell’industria
estrattiva off shore. In quanto, poi, agli incidenti, vi sono
sostenitori del no che asseriscono che non ce non sono stati. Questa è una vera
falsità! Sono circa 1300 gli incidenti occorsi alle piattaforme italiane,
certamente non tutti gravissimi, ma tutti determinanti dal punto di vista
dell’impatto ambientale. (Fonte: http://www.greenreport.it/news/energia/gli-incidenti-dimenticati-delle-piattaforme-offshore-italiane-paguro-ad-adriatic-iv/).
Infine, e non è poco, il referendum ha un chiaro ed
inequivocabile connotato politico. Non possiamo andare a firmare protocolli
internazionali per ridurre le fonti
fossili ( COP21 di Parigi: http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/12/22/cop21-siamo-in-ritardo-di-almeno-ventanni/2324011/)
e poi permettere alle compagnie
petrolifere e del gas, di sfruttarle per tempi biblici, o comunque
all’infinito. È chiaro che porre dei limiti significa avviare veramente un
approccio politico diverso e innovativo verso un’economia sostenibile reale.
Inutile riempire pagine di giornali con dichiarazioni pro-rinnovabili,
rilasciate da esponenti politici di molti schieramenti di vario colore e, poi nella realtà, invece
continuare a permettere l’eterno sfruttamento delle fonti fossili. Un’ultima,
ma non meno importante considerazione. Ciò che estraiamo dai siti off shore, in
Italia, ha una scarsissima rilevanza percentuale ( 1% per il petrolio e 6,9%
per il gas) sulle necessità. Quindi, quando si fermeranno le estrazioni,
qualora vincesse il SI, tali percentuali potrebbero benissimo essere assorbite
dalle fonti rinnovabili che, nel frattempo, potrebbero essere sviluppate
ulteriormente; inoltre, una sana politica di ristrutturazioni edilizie e
industriali, potrebbe mettere in campo quel famoso risparmio energetico che
permetterebbe davvero la riduzione degli sprechi energetici, facendo così
rientrare molto facilmente ciò che non verrebbe più estratto.
Per chi vuole approfondire, qui alcune slides : http://www.marcoianes.net/1/upload/referendum17aprile_marcoianes.pdf
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